La difficile strada della cooperazione. Il Movimento di cooperazione educativa

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La difficile strada della cooperazione.

Il Movimento di cooperazione educativa

Il Barrito ha cercato di dichiarare fin da subito, nella forma e negli intenti, il debito che sente di avere nei confronti della cooperazione educativa europea, uno dei movimenti sociali e pedagogici (insieme a quello, più tardo, del movimento non-autoritario degli insegnanti) che più ha positivamente influenzato, in termini di consapevolezza e di pratiche educative, il rinnovamento della pedagogia novecentesca. E quello che più ha dato seguito alle intuizioni teoriche dei filosofi dell’attivismo.

Se la nascita della cooperazione educativa europea è attribuibile al magistero di Freinet e alla rete di insegnanti che con la Cooperative de l’Enseignement Laic riuscì a costruire in tutta la Francia a cavallo della seconda guerra mondiale, in Italia il movimento nacque intorno a uno sparuto gruppo di insegnanti che nel 1951 si incontrarono al Ceis di Rimini, per condividere il comune desiderio di portare anche in Italia il vento di rinnovamento didattico d’oltralpe. Nacque in questo modo anche in Italia, intorno alla spinta di maestri come Aldo Pettini, Giuseppe Tamagnini, Anna Fantini la Cooperativa della tipografia a scuola, che divenne alcuni anni dopo il Movimento di cooperazione educativa (Mce).

È impossibile sintetizzare in poche righe una storia, mai ricostruita con la serietà che meriterebbe, che arriva fino ai giorni nostri con le  iniziative del movimento che quell’eredità sta cercando di portare avanti (per averne un’idea si può consultare il sito: www.mce-fi mem.it). Ma proveremo a dichiarare in pochi punti le ragioni del nostro interesse per il modello della cooperazione educativa.

1. Un certo ordine di problemi “educativi” (politici, strutturali e culturali) non può essere portato avanti, se non  collettivamente e al di là delle istituzioni di riferimento.

2. Non ci può essere “educazione attiva” senza cooperazione. Una delle intuizioni dell’attivismo è che gli insegnanti possono formarsi, apprendere e risolvere i loro problemi di conoscenza nello stesso modo dei loro alunni. L’Mce nasce proprio da un gruppo di docenti, per lo più elementari, che si erano riconosciuti e incontrati  intorno al desiderio di rinnovare la didattica scolastica italiana, ancora tutta improntata all’idealismo fascista, attraverso la sperimentazione cooperativa delle cosiddette “tecniche Freinet” (il testo libero, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente, gli schedari auto-correttivi e soprattutto la tipografi a a scuola).

3. La cooperazione italiana, e la “pedagogia popolare” che contribuì a far nascere, non fu una semplice scelta politica di riscatto sociale sul piano dell’alfabetizzazione e dell’istruzione quantitativa (caratteristica che acuì l’incomprensione e la rottura consumata nel ‘68 con la pedagogia comunista), né una proposta pedagogica che si poneva come alternativa e solo “in opposizione”, ma un’elaborazione che partiva dalla prassi e dalle domande di natura prima di tutto didattiche.

4. Infine, strettamente collegato a quest’ultimo punto, interessanti ci sembrano anche le ragioni della crisi del Movimento di cooperazione educativa (se non della fine, almeno nella capacità di generare cambiamento nella cultura e nelle pratiche della scuola italiana), collocabile nel ’68 e negli anni della Contestazione. Al momento della sua fondazione, circa dieci anni prima, nel suo statuto l’Mce rivendicava il principio delle “lotte parallele” secondo il quale il Movimento non si sarebbe mai schierato con nessun partito né avrebbe accettato sovvenzioni da partiti o sindacati, in ragione del fatto che, sebbene in certi momenti le ragioni degli uni e dell’altro si sarebbero potuti sovrapporre, in realtà partiti e sindacati non si interessavano dell’effettivo cambiamento della scuola. Nel ’68, questo atteggiamento di distanza nei confronti della politica e dei suoi strumenti da parte dei “vecchi” fondatori generò una rottura insanabile con i “giovani” che spingevano per un processo di politicizzazione che facesse emergere l’intenzionalità politica del movimento che, secondo loro, rimaneva solo latente e schiacciata dalla dimensione della sperimentazione didattica.

Per saperne di più:

Aldo Pettini, Dal Cts all’Mce. L’origine della cooperazione educativa, Emme 1980.

Aldo Pettini, Celestin Freinet e le sue tecniche, La nuova Italia 1968.

Elise e Celestin Freinet, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti 1973

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