Dall’articolo pubblicato su “Il Mattino” del 21 luglio 2020 dal titolo
A scuola dei volontari dimenticati dallo Stato
di Giovanni Zoppoli
L’emergenza sanitaria (tutt’altro che risolta) ci ha lasciato non poche eredità. Alcune di queste restano potenzialità inespresse a cui dedichiamo qualche riflessione. In questa sede ci interessa dare un contributo al dibattito accesosi sull’apertura delle scuole a settembre e in particolare sulla possibilità di recuperare altri spazi, esterni alla scuola, funzionali al distanziamento in classe.
Posto che le incognite per l’autunno sono davvero tante, ci sono ragionevoli previsione a cui le autorità si stanno attenendo per pianificare. Non va però che queste pianificazioni continuino ad avvenire in un’ottica di emergenza: una crisi tanto lacerante potrebbe costituire l’occasione per cambiare finalmente una scuola decrepita e allo stesso tempo prontissima per diventare scuola da schermo senza contatto umano.
Abbiamo più volte denunciato, anche su questo giornale, quanto la decennale tendenza da parte di Presidi, docenti e genitori (facendo salve le tante eccezioni che per fortuna ci sono) fosse quella di evitare qualsiasi occasione di pericolo, sfociando la paura di farsi male nella realtà di non farsi più alcun bene.
La nostra inchiesta del 2016 sull’utilizzo dei cortili interni la dice lunga: in nessuna delle 15 scuole napoletane analizzate i bambini potevano scendere nel cortile interno alla scuola (diventati per lo più parcheggi d’auto); in tutti questi istituti didattici le uscite esterne erano ridotte al minimo. In una delle scuole visitate la Dirigente ci disse che i bambini non li faceva uscire nemmeno nei corridoi, perché non aveva docenti abilitate a far stare in piedi i bambini. Per chiunque abbia più di 40 anni tutto questo sembrerà fantascienza, soprattutto se si prendono in considerazione anche altri dati sulla vita non scolastica, come il venir meno delle uscite autonome (senza l’occhio vigile di un adulto) a partire da quelle giù al palazzo per giocare con i coetanei. Spazio/tempo occupato da attività programmate dai genitori - corsi di danza, sport e altro - oppure tablet e video giochi in cameretta. Abitudini prevalenti al centro città, ma ancora di più a Scampia.
Il CT Mammut ha scelto fin dalla sua nascita una linea pedagogica basata sull’esatto contrario, affiancando chi dal secolo scorso crede che i bambini debbano essere considerati liberi cittadini dell’oggi, al pari degli adulti e che, se una città è costruita a loro misura, andrà meglio per tutti. Un filone pedagogico avviato da autori come C. Ward, C. Freinet, M. Montessori, a cui hanno dato seguito organizzazioni internazionali ancora attive come l’MCE e esperienze locali storiche, private come la Mensa dei Bambini Proletari a Montesanto o Pubbliche come la scuola Madonna Assunta di Bagnoli.
Il Mammut ha appunto scelto di stare da questa parte, inventandosi di tutto per portare avanti e attualizzare un messaggio di liberazione attraverso l’apprendimento. Al contrario di ogni nostra previsione questo tentativo è cresciuto durante il lockdown, quando il nostro gruppo di ricerca composto da insegnanti di Scampia, del centro di Napoli e da altre città come Modena e Potenza, ha trasferito tutte le attività on line. Il CT Mammut, come tante altre realtà napoletane e nazionali, ha resistito in questi 15 anni facendo capriole e acrobazie per rimanere vivo, mentre il Pubblico diventava sempre più un fantasma e la sopravvivenza rimaneva in balia dei narciso-burocraticismi di finanziatori privati (per lo più fondazioni bancarie), quasi sempre a discapito della qualità del servizio.
Oggi le istituzioni nazionali e locali si accorgono che questi Centri potrebbero forse tornare utili, anche ad un’attività vitale come la scuola. Ma sempre in un’ottica di toppa a colori e svalutazione. Sfugge ancora una volta che avamposti territoriali come il CT Mammut potrebbero avere un ruolo chiave, non solo come “spazio fisico”, ma soprattutto per la rivitalizzazione della scuola in toto, il cui principale problema non sono né gli spazi, né la carenza di organico o di soldi (problemi esistenti e grossi senza dubbio, ma risolvibili). Quanto la mancanza di docenti, Dirigenti e genitori disposti a realizzare una scuola basata per davvero sulla pedagogia attiva.
Le insegnati del nostro gruppo di ricerca, a cui molte altre si stanno aggiungendo in questi giorni, ci hanno lusingato riempiendoci di richieste di supporto per la propria attività didattica, con l’intenzione di fare ancora di più dei locali Mammut a Scampia un motore cittadino per grandi e bambini basato su sperimentazioni di pedagogia attiva. Abbiamo accettato senza riserve di garantire il nostro aiuto al loro lavoro in classe, anche gratuitamente, lanciando proprio in questi giorni la programmazione per il nuovo anno. Mentre nulla abbiamo potuto dire sull’uso degli spazi, non sapendo al momento se per settembre troveremo la possibilità di pagare le bollette e almeno un operatore professionale capace di mediare tra quanto accade in una delle piazze più malfamate d’Italia e le intenzioni “alte” di chi segue l’utopia concreta di una scuola e di una città migliore perché a misura di bambino.
Una condizione di precarietà del genere non sarebbe nemmeno ipotizzabile per una scuola. Perché per un Centro Territoriale deve essere la normalità?