Il punto di vista dell’’indigeno’.
Bronislaw Malinowski
Dobbiamo all’antropologia molti strumenti di indagine utilizzati anche nella ricerca pedagogica e sociale. In questa ottica fondamentale importanza riveste il lavoro di Bronislaw Malinowski (1884-1942). I lunghi viaggi e le permanenze in isole lontane contribuirono ad alimentare il “mito Malinowski”, rappresentato come uomo dell’avventura, antropologo viaggiatore per eccellenza, capace di abbandonare convenzioni e legami della cultura d’origine, per immergersi completamente in culture e società diverse.
Al di là del mito, Malinowski compì una rivoluzione copernicana nel modo di fare ricerca antropologica, fondando uno “stile” etnografico nuovo, capace di influenzare massicciamente chi venne dopo di lui, la cosiddetta “osservazione partecipante”. A lui si attribuiva la capacità di comprendere nel profondo la vita delle popolazioni studiate attraverso la ricerca intensiva sul campo.
Così scrive Malinowski in Argonauti del Pacifico occidentale: “Studiare le istituzioni, i costumi o i codici, o studiare il comportamento o la mentalità senza il desiderio soggettivo di provare cosa vive questa gente, di rendersi conto della sostanza della loro felicità, è, a mio avviso, perdere la più grande ricompensa che possiamo sperare di ottenere dallo studio dell’uomo”.
Esponente di rilievo della sociologia funzionalista, Malinowski era convinto che il pensiero scientifico non fosse prerogativa esclusiva delle civiltà al culmine del loro processo evolutivo, l’ultimo gradino evoluzionistico dopo il pensiero magico e quello religioso (come affermato dall’evoluzionismo di Frazer). Magia, religione e scienza coesistono da sempre perché svolgono funzioni culturali diverse, sebbene correlate.
La pubblicazione postuma dei diari dell’antropologo polacco, contribuiranno a ridimensionarne il mito. Verranno infatti in luce le tante contraddizioni in cui anche Malinowski incorse, prima fra tutte la grande difficoltà che chi fa ricerca su campo incontra (tanto più vero nell’ambito della ricerca sociale ed educativa) nel momento in cui pretende di adottare come propria la visuale dell’“indigeno”.