La ricerca azione Mammut

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LA METODOLOGIA DI RICERCA

La finalità è dare seguito a quanto avviato nella ricerca pedagogica, psicologica e sociale da autori quali J. Dewey, K. Lewin, C. Rogers, C. Freinet, M. Montessori, P. Freire. Lo stesso tentativo ha portato nel 2007, all’interno del progetto di ricerca “Centro Territoriale a Scampia” gruppi di diverse regioni italiane a ragionare attorno a possibilità e significati del fare educazione e sociale oggi, dando vita a nuove azioni territoriali nelle diverse città partecipanti, ma anche ad un’impostazione metodologica innovativa che questi gruppi hanno chiamato (con un pizzico di ironia) “Metodo Mammut”, prendendo nome dall’enorme piazza di Scampia dove ha sede l’associazione Compare, capofila della ricerca.

Buona parte di quest’impianto metodologico è raccontato nella pubblicazione Come partorire un Mammut – senza rimanere schiacciati sotto (a cura di Giovanni Zoppoli, ed. Marotta & Cafiero, Napoli 2011) e sul sito www.mammutnapoli.org.

Quanto proposto si pone dunque in continuità con stili e contenuti della ricerca di cui sopra, nella convinzione che a giovarsi dei risultati di studi e fatiche su campo debba essere l’intera comunità, a prescindere da cappelli e marchi di fabbrica.

 

Buoni principi per migliori fini

Avendo ricevuto conferma dai molti lavori svolti con i gruppi di regioni del nord, centro e sud Italia, possiamo annoverare con un certo margine di sicurezza tra le principali difficoltà che oggi incontra chi fa sociale e educazione (oltre all’ormai strutturale carenza di risorse) l’incapacità di coniugare pratica e teoria.

Chi fa è in genere chiamato a fare e basta, a rivestire i panni del buon operatore che al più è in grado

di raccontare il suo operato. Chi studia viene invece recluso nel ruolo di studioso, con poco o nessun contatto con la realtà oggetto del proprio studio. Il mondo del sociale e dell’educazione straborda così di racconti autocelebrativi e di studi che poco riescono a dar conto dei veloci mutamenti e della complessità insita al settore di nostro interesse. A farne le spese tanto l’elaborazione metodologica, spesso morta e ferma agli intellettuali/operatori di un secolo fa. Quanto le pratiche, sempre meno incisive anche perchè manchevoli di autoriflessività, costruzione di senso e capacità di elaborazione dei vissuti collettivi e individuali. Aspetto questo aggravato dal venire meno di risorse economiche per segmenti ritenuti “non indispensabili” (come la supervisione e la formazione).

Se studi e ricerche continuano a interessare a chi opera su campo, è in buona parte perché funzionali al riempimento di formulari e schemi preconfezionati di bandi e rendicontazioni, in ottemperanza alla burocrazia e all’ormai svelato sistema del progettificio sociale. Parole come ricerca-azione perdono di senso e significato, perché finalizzate a conferire una qualche affidabilità a percorsi che della ricerca azione non posseggono un bel niente.

Tutto questo non avviene per la cattiva fede o l’intento fraudolento di qualcuno in particolare, ma per meccanismi insiti al settore del privato sociale e oggi aggravati a seguito della crisi internazionale. La necessità di creare racconti appetibili che commuovano finanziatori e pubblico completano il quadro del problema, finendo per condizionare pesantemente l’azione, orientata più all’ottemperanza di parametri numerici e burocratici e alla narrabilità, che all’effettiva evoluzione delle tematiche sociali.

Un percorso coraggioso

Risulta pertanto coraggioso il tentativo di  chi decide oggi di mettere in campo un percorso di effettiva ricerca-azione. Anche perché le difficoltà a lavorare in questa direzione esistono per davvero.

Chi lavora su campo, come operatore e/o coordinatore, lavora già molto più di quello che il suo contratto preveda. Da dove prendere il tempo per fare ricerca? Il tempo cioè per studiare e monitorare quanto messo in campo? E inoltre la ricerca richiede competenze diverse da quelle di chi fa l’educatore sul campo: da dove prendere queste competenze? L’affiancamento sul campo di un ricercatore professionale all’educatore è una delle misure più efficaci per il nostro tipo di impostazione. Ma questo è un lusso che oggi quasi nessuno può più permettersi.

Non è infine un caso che chi lavora sul campo ha scelto di fare questo lavoro, assecondando una propensione al fare piuttosto che quella al riflettere e studiare.

Insomma, non a caso oggi è tanto difficile conciliare pratica e teoria: per porvi rimedio c’è bisogno di uno sforzo capace di rompere automatismi e circoli viziosi.

Gli alleati

Chi ha scelto oggi di fare il lavoro di educatore è probabilmente molto più fortunato di quanto non lo fossero i suoi antenati. Il lavoro educativo può infatti contare su studi e ricerche di grande valore, frutto del cammino compiuto dall’umanità fino ad oggi.  Può contare su molte leggi e circolari amministrative e dirigenziali che vanno proprio nella direzione in cui ci proponiamo di andare. E può contare sulla rielaborazione (ancora in corso) di un sistema degli aiuti e del sociale che non andava bene anche prima della crisi economica internazionale.

Ci troviamo cioè in un momento assolutamente nuovo, dove è possibile rivedere molti dei meccanismi alla base dei mali sociali se solo si è disposti a rinunciare a sicurezze e comodità un tempo date per assodate, per andare invece attorno ad un nuovo davvero inesplorato. Non è cioè più possibile pensare di risolvere i problemi della scuola facendo “solo” il doposcuola che riproduce gli stessi meccanismi della scuola di cui costituisce il prolungamento. Come è ormai evidente che serve a poco ripetere parole di grandi maestri della pedagogia senza che queste parole trovino spazio nel proprio operare di ogni giorno, uscendone rinfrescate dalla contemporaneità del tempo presente.

È cioè necessaria una grossa messa in discussione personale e professionale, basandosi sui contributi di tutte le scienze sociali (e non), perché per dirla con Dewey l’educazione è come “l’arte di costruire i ponti”. Non esiste , in altre parole, una scienza dell’educazione, ma chi svolge questo mestiere deve attingere ad ognuna delle branche del sapere, sapendo che sta lavorando alla costruzione di una società nuova. Per Dewey, come per noi, è fondamentale partire dall’individuo singolo e in carne e ossa per costruire la società nuova. Finalità che presuppone una lucida, approfondita e aggiornata conoscenza della realtà sociale e il non perdere mai di vista la meta, ovvero il mutamento consapevole e partecipato della società stessa.

Il cambiamento

Ed è appunto il cambiamento che contraddistingue il nostro modo di operare. Il motivo per cui abbiamo cioè scelto di affidarci a questa modalità di lavoro è l’esigenza di incisività, la necessità di raggiungere gli obiettivi necessari.

Le azioni che non hanno radici nella riflessività e nello studio sono quelle meno in grado di raggiungere gli obiettivi educativi specifici per le quali vengono messe in campo. Così come sterili risultano gli studi e le speculazioni teoriche che hanno perso il contatto con la realtà. Promuovere l’incontro tra teorie e pratica è il modo che abbiamo scelto per dare più efficacia alle nostre azioni.

Si tratta perciò di una costante ricerca di equilibrio. Nella forbice tra “ricerca pura” e “pura azione”, il nostro lavoro si collocherà in un piano intermedio, a seconda di quanto riusciremo ad affinare e condividere strumenti di monitoraggio e di analisi. Sono proprio gli strumenti di analisi e monitoraggio quelli capaci di fare la differenza, costituendo anche la nota solitamente maggiormente critica in questo tipo di lavoro. La precisione di indicatori e fonti di verifica richiedono tempo e competenze ulteriori. Nella capacità di non imballarsi in inutili discussioni sul sesso degli angeli, e di ancorare saldamente la scelta di questi strumenti alle esigenze pratiche del proprio lavoro su campo, risiede la possibilità di uscire dal pantano. Anche perché si tratta davvero di una costruzione comune di metodologia: il nostro è un tentativo di confezionare un abito su misura, in base a esigenze, possibilità, criticità e risorse di cui il gruppo di lavoro è portatore.

Dato per assodato che il concetto di scientificità oggi ha poco senso se traslato tal quale alle scienze sociali, il nostro lavoro avrà come soglia minima l’adozione di strumenti idonei a garantire un lettura della realtà sociale e del proprio operato corrispondente a crismi minimi di oggettività e verificabilità, con il supporto di un sufficiente bagaglio teorico ed esperienziale.

Altro punto a favore del committente è il coraggio di imbarcarsi in un viaggio dove l’unica cosa certa è la produzione di strumenti utili alla navigazione: se un percorso di ricerca-azione è autentico nessuna meta è assicurata. È questo infatti l’ultimo dei punti critici del viaggio che ci accingiamo a compiere.

Formazione e ricerca

Un ultima nota è necessaria aggiungere a premessa del nostro lavoro: il compito è al contempo di ricerca e formazione. Si tratta di una difficoltà aggiuntiva perché da una parte i partecipanti verranno invitati a partecipare a contenuti e modalità del proponente, dall’altra a ricercare modi propri dell’azione e della ricerca sociale. È del resto la contraddizione attorno a cui si trova a dover lavorare ciascun educatore, quello di fornire modelli e informazioni al proprio educando, sapendo che il fine del proprio lavoro è però un altro: quello di consentirgli di trovare un suo modo di affrontare la realtà.

 

SCHEMA DI LAVORO

Lo schema di lavoro segue i seguenti passaggi:

1 Analisi e definizione del contesto.

Primo passo che il gruppo in formazione compie è cioè quello di mettere in luce e condividere le principali caratteristiche del territorio e dei suoi abitanti, isolando temi, attori e contenuti più utili al lavoro collettivo.

2 Obiettivi di mutamento

È a partire da quest’analisi che il gruppo stabilisce quali elementi può e vuole modificare, per il miglioramento degli individui e delle collettività con cui lavora.

3 Mappa di ricerca

Il passo successivo è l’elaborazione di un’ipotesi attorno a cui il gruppo lavora per verificarne la validità. Verranno pertanto definiti e condivisi:

a) Il bagaglio teorico a cui tale ipotesi può attingere.

b) Le  esperienze  affini  dalle  quali  è  possibile  trarre  insegnamento  (senza  mai  importare acriticamente ricette e modelli).

c) Le azioni da mettere in campo per verificare la validità dell’ipotesi.

d) gli strumenti di analisi e monitoraggio.

e) La  verifica  di  quanto  messo  in  campo  grazie  ai  modelli  di  analisi  e  agli  strumenti  di monitoraggio di cui il gruppo si è dota

Socializzazione del percorso di ricerca azione.

La documentazione prodotta consentirà di condividere con un pubblico allargato difficoltà, conquiste, strumenti e suggerimenti venuti dal lavoro collettivo. E questo quaderno è appunto uno dei principali strumenti per questa fase.

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